Non sempre i ribelli

possono cambiare il mondo.

Ma mai il mondo potrà cambiare i ribelli

(Alain de Benoist)

sabato

MILANO 20 MAGGIO 2017


Questa mattina dirigenti e militanti di Avanguardia Nazionale, presso il Cimitero Maggiore hanno ricordato con il tradizionale rito del presente la figura di Salvatore Umberto Vivirito,  militante di Avanguardia Nazionale, caduto sul campo dell'onore in occasione del quarantennale della sua tragica scomparsa. All'evento erano presenti delegazioni di Avanguardia di tutta Italia









Milano 19.05.1977 - Durante il periodo degli anni di piombo, a Milano, vi fu un luogo, Piazza San Babila, considerato l’avamposto del neofascismo milanese. Da lì, per i militanti, il nome di “Sanbabilini”. Il richiamo, fu soprattutto per le caratteristiche storiche. Infatti, la Piazza, era costruita in larga parte da architetture risalenti agli anni trenta in piena epoca fascista. Una nuova generazione, che, pur mantenendo un minimo legame con il Movimento Sociale Italiano, decise di seguire la strada della piazza. Alcuni bar furono utilizzatati come sede organizzativa. Lo zoccolo duro era formato da Gianni Nardi, Rodolfo Crovace, Giancarlo Esposti e soprattutto Salvatore Umberto Vivirito. Tutti simpatizzanti e molto vicini ad Avanguardia Nazionale e poi Ordine Nuovo. Salvatore Vivirito, protagonista in
numerose attività politiche e non, fermato e arrestato più volte dalla Polizia, fu uno degli elementi, insieme a Esposti, che nel maggio 1974 tentarono di organizzare il famoso golpe in tenda. I quattro, per evitare l’arresto, decisero di fuggire verso l’Italia centrale. Dopo vari spostamenti giunsero, per sentieri tortuosi, nella provincia di Rieti, a Pian del Rascino. Piantarono le tende e cercarono di elaborare le strategie per il golpe. Dopo alcuni
giorni, Esposti, prima di raggiungere Roma per acquistare altre armi e cartine particolareggiate di Pian del Rascino, lasciò sulla strada statale 17 Salvatore Vivirito, che, tra autostop e treni, riuscì a tornare in tempo a Milano per firmare il registro dei sorvegliati speciali. Fu il loro ultimo incontro. L’accampamento fu individuato dai carabinieri e durante l’arresto ci fu un conflitto a fuoco dove perse la vita proprio Esposti. Stessa sorte, tre anni dopo, 19 maggio 1977, per Salvatore Vivirito, durante una rapina per autofinanziamento, rimase ucciso da un colpo di pistola esploso però dal proprietario di una gioielleria a Milano.


la prima firma è di Vivirito 

1 GIUGNO 1974




IL LUOGO DEL FERIMENTO DI VIVIRITO


IL TESTO È TRATTO DAL LIBRO “SANBABILINI LETTERE STORIE E RICORDI”
 DI PIERLUIGI ARCIDIACONO

UMBERTO VIVIRITO – L’ALTRUISTA
«Ricordo che andavo ancora alle Scuole Elementari e quando tornavo dalle lezioni, a volte, sotto il portone di casa c’erano i Carabinieri. Tante volte lo vedevo, con labarba, mentre partiva a razzo con la sua moto...»
 Tony
«...quando fu ferito si rifugiò qui (trovarono il portone sporco di sangue) e fu la sorella, che era infermiera, a consegnarlo in ospedale, dato l’aggravarsi della situazione. Purtroppo in ospedale “non furono tenerinei suoi riguardi”.»
Tony
Nei ricordi di Tony – il bambino che viveva dirimpetto alla famiglia Vivirito, in via Uruguay 7 a Milano – non vi è solo l’affascinante moto che parte sotto casa rombando, ma c’è anche la propria mamma arrabbiata, che “bussa” pugni sulla parete di camera: «Il buon Salvatore (nome che lui non gradiva, perché, diceva: “Mi fa troppo terrone.”) aveva l’abitudine di tenere la radio o lo stereo acceso in compagnia di qualche amico.», forse con il volume della musica unì po’ alto. Tipico di quegli anni. In ogni caso Umberto Vivirito era da giovane un ragazzo decoroso di quelli che non buttano nemmeno una carta in terra. La sua famiglia, siciliana, gli aveva impartito una buona educazione, tradizionale, come si usava una volta. Quando Umberto stava per dire qualcosa che gli stava a cuore sorrideva e gli brillavano gli occhi e, di solito, non parlava mai a sproposito. Era un ragazzo allegro che cercava sempre la battuta, pur rimanendo nella compostezza delle sue maniere per bene, ma i tempi erano quelli che erano... Ancora nei ricordi di Tony, c’è «un giorno», sempre tornando dalle Elementari, «era un sabato e ci fu un aggressione sotto casa. Colpirono un suo amico che usciva dal portone (con un ceppo di legno della siepe), arrivai poco dopo il fatto e c’era sangue dappertutto e ’sto grosso legno insanguinato. Quell’episodio mi condizionò a tal punto che scelsi in futuro da che parte stare. ma questa è un’altra storia...». Così, in quel clima, anche Umberto (Salvatore) Vivirito entrò a far parte della spirale di violenza e finì, come molti amici, anche in carcere. Ma quando ne uscì e i suoi camerati rimasero dentro divenne cupo. Era rimasto solo, ma specialmente non sopportava di essere l’unico libero. Andava a trovare i suoi amici ai processi ed era assiduo nel domandare se avessero bisogno di qualcosa. Vivirito, in verità, non amava la violenza (anche se in quegli anni era difficile restarne lontani, per chiunque volesse sopravvivere), eppure finì ucciso con una pallottola nel fegato, colpevole di una rapina a una gioielleria in cui, a sua volta, uccise sul colpo il titolare che aveva reagito. La detenzione in “collegio” (come alcuni ex detenuti definiscono il carcere) lo aveva cambiato. Quella rapina l’aveva tentata per prepararsi a “rendersi utile” ai suoi camerati. Un delatore dichiarerà (in futuro) che Umberto Vivirito (così come Marco De Amici) era anche di “Alleanza Cattolica” e quando fu chiesto di espellerlo Marco Invernizzi si oppose.
L’immagine di Umberto Vivirito altruista, vive nei ricordi di Mario Di Giovanni che, per amicizia nei nostri confronti, si apre ad alcuni ricordi: «I rapporti con Umberto sono sempre stati, nostro malgrado, discontinui. Mentre io ero attivista della “Giovane Italia” in corso Monforte, lui era attivista del “Comitato Tricolore”, esterno al partito. Quando aderii ad “Avanguardia Nazionale”, lui, che vi era entrato prima di me, era già in galera. Quando tornò libero la nostra avventura in “Avanguardia” raggiunse il momento di maggior tensione e gli eventi ci allontanarono nuovamente. Il tempo passato insieme fu però significativo, segnato da un’amicizia “di pelle” rafforzata da sentimenti comuni: l’attaccamento alla famiglia, l’inquietudine di vita, la passione politica. I ricordi sono molti ma non andrò oltre qualche graffito, giusto perché l’amico Pierluigi, l’unico al quale interessino, me lo ha chiesto.». Il primo ricordo di Mario Di Giovanni riguarda il periodo di detenzione e proprio in questo ricordo emerge l’altruismo di Vivirito: «Cella di isolamento del Carcere di Rieti, 1974. Lo spioncino, attraverso il quale il personale di custodia controllava il detenuto (che in questo caso ero io) era costituito da un minuscolo vetro incassato nella muratura. Lo spioncino dava sul corridoio che i detenuti percorrevano per recarsi in cortile, nelle ore d’aria. La sorveglianza non era straordinaria,così Umberto, che non era “isolato”, aspettava che tutti i detenuti fossero passati per accostarsi allo spioncino per fare due chiacchiere e darmi notizie (una peggiore dell’altra). Così facendo, rinunciava però all’aria. Il richiamo di Umberto, sottovoce, spezzò molte volte il silenzio della mie giornate fino a che, improvvisamente, non lo sentii più, e capii che era stato trasferito senza preavviso.». Il secondo ricordo emerso dai ricordi di Mario Di Giovanni riguarda un momento più sereno, se così si può dire, avvenuto un anno prima della detenzione nel Carcere di Rieti, nel 1973. Di Giovanni e Vivirito sono in vacanza al mare, ma anche lì si trovano a dover fare i conti con i loro nemici: «Avevamo trascorso una breve vacanza sull’Adriatico: una sera in moto, in maglietta, “surgelati” da un inaspettato abbassamento della temperatura aggravato dalla velocità della moto. Rimedio: rincorsa di un autobus in servizio notturno e posizionamento a pochi centimetri dal tubo di scappamento, per ricavarne calore, accompagnato da una quantità industriale di ossido di carbonio. Nel corso della vacanza, la bella scoperta di ritrovare, nella stessa località e non lontano dal nostro albergo, il capo degli attivisti di “Lotta Continua” di Pavia, organizzazione extraparlamentare con la quale mi ero scontrato nella locale università, dove ero studente. La ragionevole ipotesi che non fosse solo non era questione secondaria, perché, appena riconosciuti, io e il compagno ci eravamo reciprocamente minacciati. Così, a buon conto, fuori dalla valigia il serramanico “di ordinanza” che, come da definizione, non ci abbandonava mai, e poi uno a guardare le spalle dell’altro. Anche al mare. Infine, il ritorno a Milano prendendolo larghissimo, a Est, dalle Valli di Comacchio. In moto, una curva tra due filari fitti di alberi, verso il tramonto. Un raggio di Sole che filtra dai rami. Questa immagine non mi ha più mollato, da quarant’anni.».
Ecco, di seguito, un ricordo di Cesare Ferri:
«Il 19 maggio 1977 moriva Umberto Vivirito. Un camerata coraggioso, impertinente e spesso ironico: ti buttava lì la sua frasetta con un mezzo sorriso sulle labbra e allora non potevi fare a meno di sorridere anche tu dandogli però del pirla. Non viene quasi mai ricordato, Umberto, perché anche tra noi c’è chi divide i morti in presentabili e impresentabili. No, per me no, tutti i miei camerati morti sono non soltanto presentabili, ma anche degni di stima e affetto. Potevano avere un’esistenza normale, preparare le basi per un proprio futuro comodo e quindi non rischiare d’essere destinati alla condanna sociale, invece hanno scelto di lottare mettendo in gioco la vita. E l’hanno persa. C’è chi la perde ogni giorno tirando a campare o inseguendo miti di cartapesta, e c’è chi l’ha persa o è disposto a perderla per un ideale. Umberto l’ha persa per un ideale. Onore a lui.».
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Nel “Rapporto sulla VIOLENZA FASCISTA in Lombardia” pubblicato nel Febbraio del 1975

 Vivirito appare soltanto due volte. Nel primo caso (pagina 62) si tratta di una aggressione del 23 Novembre 1972 in cui egli è coinvolto nell’accoltellamento di uno studente insieme ad Alessandro D’Intino, Michele Rizzi e Riccardo Manfredi (i quattro saranno rinviati a giudizio per concorso in tentato omicidio il 3 Gennaio 1973). Nel secondo caso (pagina 88), il 27 Ottobre 1973 (la fonte è “l’Unità” del giorno seguente): «Due giovani di “Lotta Continua” aggrediti e feriti da una ventina di fascisti armati di spranghe coltelli e bottiglie incendiarie. Fermati quattro aderenti a “Avanguardia Nazionale”: Salvatore Vivirito, Domenico La Medica, Costantino Corsini e Bruno Peterlongo.».

MILANO 6 DICEMBRE 1972
Avanguardia Nazionale sola contro la reazione marxista e borghese

I militanti Nazonal Rvoluzionari : Umberto Vivirito, Alessandro D'Intino, Riccardo Manfredi e Michele Rizzi, furono aggrediti in via Torino da una moltitudine di picchiatori, rampolli della borghesia della cosiddetta Milano bene.
Gli Avanguardisti si difesero con valore fino allo stremo. Riccardo Manfredi si comporto' da leone in soccorso dei camerati .
La stampa del sistema, spudoratamente scrisse ' di vile "aggressione fascista"
Una masnada inferocita contro quattro "Leoni" !
I camerati feriti e malconci furono arrestati e rinchiusi nel carcere di San Vittore, seppur minorenni.
Radunai i militanti Milanesi di A.N. ed organizzai una protesta dinanzi a San Vittore. Giancarlo Esposti in quel periodo era "ospite" di San Vittore. Con gli altri camerati richiusi esposero uno striscione con la Runa di Othal.
AVANGURDIA VIVE !


16 GENNAIO 1973
















 LA STAMPA 22 MAGGIO 1977 

LA STAMPA 23 MAGGIO 1977

LA STAMPA 24 MAGGIO 1977

UNITA' 24 MAGGIO 

24 MAGGIO 1977 " LA STAMPA"
Manovale del terrorismo
"E' morto portandosi dentro molti segreti di una vita violenta : Salvatore Vivirito detto "Umberto", 22 anni, manovale del terrorismo fascista, magliaro invischiato nel giro dei trafficanti d' armi, dei tramisti neri, degli attentatori. Preso dagli uomini della Mobile venerdì 20 maggio con una pallottola in corpo è spirato in ospedale dopo una operazione chirurgica che pareva riuscita, prima che il magistrato inchiodarlo alle responsabilità di un assassinio. "Umberto" aveva una ferita al torace. Interrogato disse che era stati "avversari politici" a sparagli contro. Ha negato fino all' ultimo poi è morto. I molti segreti e le molte verità che Vivirito si porta nella tomba lo riguardano direttamente, da quando aveva 16 anni e scelse la strada della violenza, legandosi al mondo lombardo dei fascisti. " Comitato Tricolore", "Avanguardia Nazionale", "Squadre d' azione Mussolini", Mar di Carlo Fumagalli. Passo per passo aveva percorso la strada di manovale, ripagato dal denaro facile: vestiti, motociclette potenti, armi a volontà. I rischi erano grossi ma Salvatore li affrontava con apparente indifferenza: in un modo o nell' altro ne usciva (...). Vivirito era nel giro dei Sanbabilini, conosceva i bombardieri della Valtellina, i neofascisti di Brescia (...).
Chiude la cartellina, non va oltre: giornalisti schifosi.
(Tratto da Indian Summer '70 - c' era una volta San Babila )


NOVEMBRE 1970
Le nostre camerate non ci abbandonavano mai. (Foto di Cesare Ferri)

In memoria di Umberto un ricordo di Davide Cattaneo, entrambe di Avanguardia Nazionale, che è uno spaccato di storia, vissuta intensamente, di quegli anni terribili e stupendi:

Umberto è stato il mio miglior amico da quando entrambi eravamo adolescenti. Ci siamo conosciuti quando avevamo 14 anni, nella sede di Avanguardia a Milano in via Adige. Ero stato io a contattarli in quanto rappresentante di un piccolo gruppo di ragazzi di Monza attivi in politica ma ben lontani da una qualsiasi rappresentanza parlamentare. All’epoca combattevamo per un quartiere popolare di Monza per far assegnare queste case a chi ne aveva realmente bisogno (famiglie con figli a carico ma senza reddito) e non a chi le richiedeva semplicemente perchè appoggiati dai partiti “democratici”quali PCI o DC. Evidentemente la nostra lotta seppur giusta era destinata a soccombere ai dettami dell’antifascismo e le nostre famiglie, tutte legate nel passato al regime fascista (una era la discendenza di Storace, tanto per intenderci) non erano degne di considerazione da parte dei “democratici” e furono lasciate alla fame….Ma questo mi spinse a frequentare la sede di AN a Milano e quindi a stringere rapporti di amicizia con Umberto, Sandro d’Intimo e Mario di Giovanni che erano i dirigenti dell’organizzazione. Umberto era pero il più giovane dei tre, ed anche mio coetaneo, cosi con lui strinsi un rapporto di amicizia che andava al di la della politica : frequentavamo le stesse ragazze, a volte lui dormiva casa mia ed io da lui, i nostri genitori si conoscevano e si scambiavano telefonate quando sparivamo per qualche giorno, insomma avevamo tra di noi un profondo legame di amicizia adoledenziale che ci vedeva uniti nell’affrontare le prime esperienze di vita. Tra l’altro vi era, sempre presente e di grande aiuto, anche Cristina, la sorella maggiore di Umberto,una persona eccezionale che ha dedicato praticamente tutta la sua vita a difendere il fratello, dapprima con atti concreti (rischiando la galera) ed in seguito alla morte di Umberto a tenere viva la memoria di suo fratello, leale generoso ed onesto, morto tragicamente durante un “finanziamento” prettamente politico. Umberto non ha mai tenuto un soldo per se stesso, il ricavato di queste azioni andava nella totalità a pagare avvocati, stampare giornali e manifesti ed altre attività, tutte volte ad aiutare i camerati imprigionati ed a portare avanti le nostre idee. Umberto non va confuso con i volgari banditi, va visto come un idealista rivoluzionario che portava avanti la causa al rischio della sua vita e che per questo è morto. Umberto fu arrestato (era il suo secondo arresto) a Monza con me ed altri 4 camerati dei quali intendo ricordare Domenico La Medica, che in seguito sara massacrato sotto a casa di Umberto dai soliti compagni a colpi di hazel 36 (chiave inglese), particolare raccapricciante : una volta che era privo di senso per i colpi ricevuti, gli assalitori “democratici” gli presero la testa e, a colpi di pietra, gli spaccarono tutti i denti, uno ad uno. Quando Cristina scese e lo soccorse in attesa dell’ambulanza, gli appoggio la testa su di una salvietta, una volta che Domenico fu in ambulanza, lei scopri tra il sangue rimasto copioso sulla salvietta, pezzi di ossa e denti…Domenico non si riprese mai più e scomparve per sempre dalle nostre vite….. I compagni di Lotta Continua che rimasero feriti a Monza invece fecero carriera, il ragazzo si specializzò in traffico di armi sul mediterraneo, diventando un membro effettivo del terrorismo rosso, la ragazza invece, entro a far parte della RAI, dove grazie alle sue idee ed allo status di vittima del fascismo, fece una carriera ben pagata per il resto della sua vita…. Io ed Umberto rimanemmo per 5 mesi in carcere e fummo messi in libertà provvisoria. Avevamo trascorso assieme questa carcerazione ed il nostro legame ne usci rinsaldato. Da liberi riprendemmo a fare attività politica con Avanguardia ma fummo coinvolti in un fumoso piano, chiamato “La rosa dei venti..”dove un ex partigiano bianco, tale Fumagalli, ci forni armi, soldi ed appartenenti, in vista di un ipotetico colpo di stato. Senza entrare nei dettagli, fu così che Giancarlo Degli Esposti entro in contatto con il suddetto Fumagalli e fini ucciso ai piani del Rascino, in circostanze mai chiarite.(anche qui possiamo parlare di omicidio premeditato da parte del potere”democratico”) Umberto però non fu arrestato sul fatto e grazie a Cristina riuscì a nascondersi ancora per qualche tempo a Milano dove fini comunque per essere arrestato.  Io dal canto mio, fui arrestato ben prima, evasi e ripreso fui messo al carcere di Trieste, il Coroneo, da dove mai nessuno è riuscito ad evadere.  Umberto e Sandro vennero più volte a trovarmi prima di essere arrestati a loro volta. Io finii, dopo più di un anno di detenzione provvisoria, per essere rilasciato per “decorrenza dei termini”e sottoposto a varie misure di controllo con una richiesta di confino. Uscito mi ritrovai con tutti i miei amici in carcere, unico rimasto ancora libero era Mimmo Magnetta, un nostro coetaneo che aveva legato con Umberto e con me da quando era entrato in AN. Con lui cercai di riprendere qualche attività ma la questione principale rimanevano i camerati detenuti. Nel frattempo, Cristina, ancora una volta, riuscì a far liberare Umberto con qualche cavillo giuridico, anche se si trattava di “libertà provvisoria” esattamente come la mia. Ed ancora una volta riprendemmo a vivere e far politica assieme io ed Umberto : ricordo feste e ragazze, scritti e ciclostile, armi e finanziamenti……Mimmo aveva sviluppato amicizie a Roma ed era colui che più si dava daffare politicamente, Umberto lo seguiva come già aveva fatto in precedenza con Sandro, ma sia io che lui sapevamo di avere le ore contate in Italia ,il carcere ci attendeva entrambi…..Fu così che, dopo aver conseguito assieme un buon finanziamento, decidemmo di separarci : io sarei partito per il sud est asiatico, dove grazie ad un contatto presso l’ambasciata Italiana di Bangkok speravamo poter aprire una attività in un paese che non aveva accordi di estradizione con l’Italia (siamo nel 1975 e la Tailandia era per tutti solamente il retroterra della guerra del Vietnam, nessun turista all’orizzonte all’epoca). Lasciai dunque casa mia a Milano San Felice ad Umberto e raggiunsi la Tailandia. Umberto era rimasto a dividere l’appartamento con dei guerriglieri argentini, conosciuti in carcere, latitanti e rifugiati a Milano. La conclusione fu una bolletta telefonica pazzesca tra Argentina e Tailandia che mai nessuno pago (all’epoca le telefonate intercontinentali erano difficili da ottenere e carissime) Io ed Umberto ci sentivamo telefonicamente almeno una volta la settimana. L’idea era che lui mi raggiungesse appena avesse risolto, almeno in parte, la questione economica per avvocati e detenuti, in seguito avremmo agito assieme tenendo base a Bangkok in modo da sfuggire alla DIGOS, che a livello internazionale all’epoca era zero. Se a questo si aggiungono i contatti con la guerriglia Argentina ed alle varie attività di Stefano delle Chiaie in sud America ed in Europa (Spagna e Francia) stavamo seriamente cercando di dare una svolta internazionale alla nostra lotta politica, cosa mai fatta fino ad allora. Evidentemente non mancavamo di sfacciataggine essendo entrambi dei semplici studenti ventenni, ma noi comunque ci provavamo… Fu così che, tramite Cristina seppi dapprima dell’arresto di Umberto e della sua detenzione in ospedale. Io mi precipitai a comprare un biglietto aereo per rientrare appena possibile, la sua detenzione al Fatebenefratelli preoccupava sia me che Cristina e Mimmo, sapevamo che gli infermieri erano tutti membri di organizzazioni extra parlamentari di sinistra e che avrebbero sicuramente cercato di eliminare Umberto come già avevano fatto con Ramelli qualche tempo prima, io volevo rientrare e liberarlo armi in pugno prima che fosse trasferito in un carcere di massima sicurezza e per questo telefonavo quotidianamente a Cristina, quando mancavano solo 24 ore al mio rientro tramite Air France su Parigi (per poi proseguire su Milano via terra) ricevetti dalla voce straziata di Cristina la notizia della morte di Umberto. Fu detto perchè Umberto è stato assassinato, non è morto per cause naturali) il mio miglior amico, ero anche rimasto solo e senza più nessuna possibilità di far politica (tutti gli altri di AN erano in carcere o latitanti) nel fin fondo dell’Asia. In Italia ero sempre ricercato e con anni di galera da fare. Dovevo quindi ricominciare a vivere li, dall’altra parte del mondo, senza documenti ne amicizie……. Tagliai i ponti con l’Italia definitivamente e fu solo dopo più di venti anni che rientrai a Milano ed ebbi modo di rivedermi con Cristina : invecchiata e stanca, ma mai domita. Aveva passato la vita a difendere la memoria di Umberto prendendosi cura anche della madre, e la sua relazioni sentimentali erano sempre precedute da un suo imporre la figura di Umberto dinanzi a tutto, amanti compresi. Qualche anno fa Cristina è morta ed io mi sono recato, con Mimmo, ai suoi funerali. Vi erano molte persone perché Cristina aveva fatto del bene in tutto il quartiere dove abitava, ma mi aspettava l’ultima sorpresa da parte di questa donna eccezionale e di altri tempi : fui avvicinato dalla sua migliore amica che mi chiamo in disparte e mi disse :” Cristina ti ha sempre ricordato e parlava spesso di te quando si riferiva ad Umberto, mi ha lasciato questo da darti una volta che lei fosse morta..” MI diede un ciondolo in argento, che io ed Umberto avevamo fatto in gioventù: vi erano le nostre iniziali che si legavano tra di loro con fili dorati che cingevano la D e la U in maniera indissolubile. Mi ero completamente dimenticato di questo ciondolo fatto in due esemplari uno per me ed uno per lui……In quel momento ho rivisto gli occhi sinceri e sorridenti di Umberto quando me lo diede anni addietro ed ho capito che Umberto non è mai morto ma continua a vivere nei nostri ricordi, essere immateriale ma sempre presente nella memoria di chi lo ha conosciuto nella sua breve ma intensa vita.